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Captivi: come i partenopei furono liberati dal giogo degli infedeli

Captivi 1 NAPOLI - Nel cuore antico di Napoli, a via Tribunali, 253, sorge il Pio Monte di Misericordia. A dare vita a quest’istituzione benefica, nel 1602, un gruppo di sette giovani nobili napoletani, con l’intento di essere dalla parte dei più deboli. Tra le stanze settecentesche e la chiesa è custodito un vasto patrimonio storico-artistico, tra cui uno dei capolavori più noti di Michelangelo Merisi da Caravaggio, e una ricca quadreria di dipinti di diverse scuole ed epoche. Un patrimonio ancora più antico, antecedente addirittura alla fondazione dell’ente stesso, è preservato nell’archivio storico. La “misericordia” e la voglia di fare del bene che diedero vita inizialmente al Pio Monte sopravvivono ancora ora. Infatti quest’ultimo finanzia un poliambulatorio dentistico, asili e altre strutture destinate alle persone più bisognose.
Per farne conoscere la storia numerose le attività proposte, che si susseguono nel corso dell’anno, a opera di diverse associazioni.

LA VISITA TEATRALIZZATA CAPTIVI
Sabato 23 e domenica 24 marzo 2013 tocca alla visita teatralizzata “Captivi”, organizzata dall’associazione culturale NarteA (con due turni: 10,30 e 12).
“Questa pièce teatrale – racconta Febo Quercia, direttore artistico di NarteA - vuole portare alla luce un aspetto troppo poco trattato dagli studiosi: l’opera caritativa di liberare gli schiavi cristiani dalle mani degli infedeli”. A dare un volto alle persone che, in un’epoca oscura, vollero schierarsi dalla parte degli “ultimi” e degli indifesi gli attori professionisti Raffaele Ausiello, Antimo Casertano e Serena Pisa. All’epoca i turchi spadroneggiano nel Mediterraneo, fanno prigionieri uomini e donne partenopei per poi venderli al miglior offerente sulle piazze dei mercati orientali. La Città delle Sirene, poi, appare un boccone particolarmente ghiotto per gli infedeli, per via della sua posizione geograficamente esposta. Da qui la scelta dei nobili del Pio Monte della Misericordia di cercare di liberare i prigionieri della loro stessa città.
Un’operazione, quella della teatralizzazione di una vicenda storica, che si pone al crocevia tra ricostruzione storica e racconto di vicende non necessariamente vere ma verosimili, come le avrebbe chiamate Alessandro Manzoni. Un’operazione divulgativa che può nascondere in sé il pericolo di un’eccessiva semplificazione e banalizzazione.
L’antidoto a questo rischio, secondo il direttore artistico, è costituito da una “preventiva ricerca storiografica approfondita, che si muove attraverso approfondimenti su svariati libri, documenti e anche “racconti” di persone a conoscenza dei fatti , come ad esempio studiosi del luogo”.
Uno studio dettagliato del periodo storico e sociale “scelto” che si incentra su luoghi nodali della cultura e della storia partenopea. La fedeltà ai fatti storici, secondo quanto rimarcano gli organizzatori, “è basilare”. A questa realtà gli attori prestano la loro voce e i loro gesti e la fanno rivivere, rendendo i personaggi fatti di carne e sangue.
Ne nasce un viaggio temporale, un tuffo nel passato.

MIX DI RICOSTRUZIONE STORICA E FANTASIA
“La fantasia - evidenzia Quercia - è importante perché serve a generare il testo, anche quello studiato nei dettagli con una scelta accurata delle parole da utilizzare. La trama, infatti, è una sorta di ‘naturalizzazione’ di un evento che può essere accaduto o sarebbe potuto accadere in un dato posto, in un specifico momento storico”.
A coadiuvare gli attori in questo viaggio indietro nei secoli la guida turistica Alessia Zorzenon. In questo modo al momento della teatralizzazione, si aggiunge quello della visita guidata vera e propria.
A fare rivivere un’epoca, il mix tra l’elemento storico (vero, reale) e quello lasciato all'opera teatrale, affidato al testo interpretato dagli attori. Perché, come ricordano i referenti di NarteA “la fantasia è uno strumento indispensabile per avvicinare un pubblico trasversale e condurlo nella e conoscenza del patrimonio artistico e culturale di Napoli”. Un modo “inusuale”, che passa attraverso la possibilità di suscitare stupore e divertimento.
A completare l’immersione nel passato i costumi realizzati “su misura” per ogni evento, frutto dello studio di epoca, luogo e classe di appartenenza del personaggio. A cucirli a mano la costumista Antonietta Rendina.

RICORRERE ALLA CULTURA PER USCIRE DAL BARATRO
Napoli tra attraversando una delle sue pagine più oscure. Come dimostrano i fatti di cronaca che si susseguono, la città ed i suoi cittadini, ieri come oggi, stanno perdendo “opere e speranza”.
Di fronte a quest’emorragia delle migliori risorse, che vogliono “scappare” da una città che troppo spesso finisce in ginocchio o che finiscono per cedere sotto il peso di colpi durissimi, il compito di provare a dar vita ad un riscatto possibile è affidato alla cultura.
“Niente retorica e parole già sentite – ammoniscono gli esponenti di NarteA – ma fatti che dimostrino concretamente quanto sia importante promuovere, divulgare e salvaguardare la cultura”.
Non solo attraverso lo strumento delle visite teatralizzate, ma anche con progetti didattici e tour “tematici” tradizionali, costruiti in base alle esigenze e alla voglia di scoprire il passato.
Un percorso irto di ostacoli, perché spesso ancora in pochi conoscono i gioielli artistici, le storie e le tradizioni che pulsano nel cuore non solo della città ma anche della provincia.
“Non si può conoscere un luogo e capire un popolo – evidenzia Quercia - senza conoscere, capire e vedere il suo passato e le sue tradizioni. Fondamentale è anche la conoscenza della lingua napoletana”. Una lingua, caratterizzata da immediatezza e musicalità, che spesso viene riduttivamente definita dialetto.
Per maggiori informazioni e per la prenotazione obbligatoria: 339.7020849 e 334.6227785, www.nartea.com

di Tania Sabatino

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Data:  23/3/2013   |    © RIPRODUZIONE RISERVATA            STAMPA QUESTO ARTICOLO            INVIA QUESTO ARTICOLO


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