ROMA - Ho paura che io possa cessare di essere. Ma ciò non succederà mai fin quando qualcuno mi amerà… Ho parafrasato un verso del poeta John Keats, perché, secondo me, riassume bene lo spirito che permea il cortometraggio “Camilla Carillon”, tratto da un racconto breve di Roberta D’Orazio per la regia di Giulio Caputo. Una storia romantica, di un amore intenso ed estremo che non teme di superare i limiti, fino a sfociare nella follia.
Il regista racconta con inquadrature strette, calde ed intime, la storia d’amore tra la fragile Camilla (Barbara Cerrato), capace di portare colore e dolcezza nella vita degli altri, ed il pianista Dario (Antonio De Matteo), che vive per la musica sprigionata dai tasti bianchi e neri del suo pianoforte.
Il racconto, condensato in poco meno di quindici minuti, parte dalla fine (utilizzando la tecnica del flashforward). Camilla sta tornando a casa da una clinica dove è stata sottoposta ad una delicata operazione. Sul suo viso aleggia un sorriso sereno e, durante il tragitto, ripercorre attraverso una serie di flashback le tappe della sua storia d’amore con Dario, dall’incontro iniziale fino all’epilogo, con il protagonista maschile bloccato su una sedia a rotelle in seguito ad un terribile incidente stradale. La strada del ritorno a casa è dissestata, piena di buche e dislivelli, e ad ogni sobbalzo il corpo di Camilla sprigiona una musica malinconica, le note liberate dal piano dalle dita di Dario. Un bambino salendo sull’autobus la indica, come fosse un fenomeno da baraccone, la gente osserva stranita i denti che affondano nella carne della sua schiena e la deturpano, una sorta di cerniera che le solca il corpo. Ma lei è serena, sta tornando dal suo Dario a consegnargli il pegno eterno del suo amore.
LA SCELTA
Frutto di una scelta che rappresenta anche una sorta di espiazione per essere uscita illesa dall’incidente che ha distrutto l’anima ed il corpo del suo amore, impedendogli di comporre e di suonare per sempre la sua musica. Così la donna, non senza paura, sceglie di fare un gesto estremo, che la priverà della sua identità femminile e della sua potenza procreatrice, per farla diventare un altare vivente eretto alla memoria di Dario e della sua musica, una memoria esterna e che è impossibile ignorare dato che è incorporata in lei. Infatti, si fa impiantare nel corpo un congegno che la trasforma in un carillon gigante, così che ogni suo movimento possa essere testimonianza del talento di Dario. In cambio dell’impianto della protesi esosogamica accetta di cedere la “sua parte migliore”, come la definisce il medico che la opera, segno del suo essere donna, ma anche della sua capacità di dare continuità all’esistenza: il suo apparato riproduttivo (l’apparato riproduttivo viene infatti messo a disposizione della scienza affinché possano essere fatti esperimenti di innesto sugli embrioni).
La protagonista lo fa con una consapevolezza acuta e per certi versi terribile. Perché non vuole più possedere quella parte del corpo se non può fondersi e camminare nella vita assieme a Dario e perché decide di bloccare la sua vita in un attimo eterno, di non guardare avanti, di non vivere più la sua esistenza. “Si tratta di una prova di vero amore – commenta il regista del corto -. Un amore che non viene mai definito tale, perché spesso delle parole si fa abuso, ma che assume corpo e sostanza attraverso le sue azioni. Sono i fatti a parlare”.
E’ una donna acutamente consapevole di dover fare una scelta da cui non sarà possibile tornare indietro. La compie per amore solo per amore, ed abbraccia le conseguenze che ne verranno con autentico coraggio.
Lei donna-bambina, che forse non ha mai davvero avuto il coraggio di guardare il mondo per com’è, viene sbalzata bruscamente, con furia e crudezza, nel mondo adulto. E’ sola e le crolla sulle spalle tutto il peso di questa condizione e di un bivio che appare drammatico. E’ donna fino in fondo, donna adulta e consapevole, forse per la prima volta, ed al contempo per l’ultima.
“Quando Camilla parla con il medico – spiega continua Caputo – è diversa dalla donna che vediamo nelle altre scene. E’ differente la sua espressione, l’aura che emana, persino il modo in cui è truccata”.
VALORIZZAZIONE TERRITORIALE
Un cortometraggio tutto made in Caserta a partire dallo staff. Sono casertani, infatti, il regista, gli attori ed il personale tecnico.
Camilla Carillon, in meno di quindici minuti condensa una serie di riflessioni, solleva dubbi e lancia domande, alcune delle quali rimangono sospese. Ma fa molto di più: diviene strumento attraverso il quale passa la valorizzazione di un territorio di cui troppo spesso si parla per cliché, tra immagini di cumuli di rifiuti, clan, mozzarella alla diossina e prostituzione. Nel cortometraggio, invece, co-protagonisti sono alcuni scorci suggestivi della reggia vanvitellina. Ad essere primo attore è la cultura a 360 gradi.
Il tema musicale originale “La neve che verrà” è opera di Giovanni Block, vincitore, tra gli altri riconoscimenti, del premio Luigi Tenco. A competare il tutto alcuni brani per solo piano, ispirati al tema principale composti da Andrea Giuntini.
PROSPETTIVE FUTURE
Anteprima nazionale il 12 marzo 2013 alla multisala Duel Village di Caserta. Una anteprima voluta fortemente dalla general manager Patrizia Cerasuolo. Ora per questo intenso corto, prodotto da S.IN.T.E.S.I. Azienda Speciale della Camera di Commercio Caserta - Caserta Reggià, non a caso sottotitolato in inglese, si aprono prospettive più ampie, in ambito nazionale ed internazionale, attraverso la partecipazione a concorsi ed a festival.
di Tania Sabatino
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