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Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, nel Cinema di Lindau

petri-elio TORINO - Le Edizioni Lindau presentano due nuove uscite nella collana Cinema. Nel 40° anniversario dell'Oscar come miglior film straniero Elio Petri, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, di Claudio Bisoni (Edizioni Lindau Universale Film).
IL FILM, IL LIBRO
Accolto da un grande successo al momento della sua uscita nelle sale, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (Grand Prix Speciale della Giuria al 23º Festival di Cannes e premio Oscar come miglior film straniero nel 1971) è considerato uno dei capisaldi del cinema politico. Il linguaggio cinematografico classico, l’eccellenza tecnica della realizzazione e il robusto piglio narrativo sono al servizio di una storia che racconta l’impunibilità del Potere. Un Potere che ha il volto di Gian Maria Volonté, in una delle sue più celebri interpretazioni.
In questo libro Claudio Bisoni analizza le tecniche di messa in scena, le scelte di montaggio, l’uso particolare del décor, la costruzione della maschera di Volonté e si sofferma sui rapporti che il film intrattiene con la commedia all’italiana e con la produzione hollywoodiana.
Il profilo che emerge è quello di un’opera che riflette sul ruolo perverso dell’autorità nella nostra società, e che, interrogandosi sul nesso eros/politica, contribuisce a tracciare alcune delle coordinate lungo le quali continueranno a muoversi, nell’arco di un decennio, il cinema italiano e la cultura cinematografica.
Il libro contiene un inserto fotografico, con una serie di sequenze significative del film, e un'Antologia critica che ripropone una selezione di articoli e recensioni di grandi firme dell'epoca.
L'AUTORE
Claudio Bisoni insegna Storia e metodologia della critica cinematografica presso l’Università di Bologna. Si occupa dei rapporti tra critica, estetica e processi culturali. Tra le sue pubblicazioni: Brian De Palma (Recco, 2002); La critica cinematografica. Metodo, storia e scrittura (Bologna, 2006); Gli anni affollati. La cultura cinematografica italiana (1970-1979) (Roma, 2009). Suoi saggi e articoli sono apparsi in volumi collettivi e su varie riviste, tra cui «La valle dell’Eden», «Fotogenia», «Close-up». Per Lindau ha pubblicato (con Roy Menarini) Stanley Kubrick. Full Metal Jacket (riedito nel 2010).
DAL LIBRO
Dimenticato e riscoperto
Il cinema di Elio Petri ha avuto un destino bizzarro. Ancora nel 2007 Alberto Barbera apriva così il catalogo fotografico dell’omaggio al cineasta organizzato dal Museo del cinema di Torino: «Registi ingiustamente sottovalutati sono stati accolti nell’olimpo dei maestri, autori osannati oltremisura sono stati riportati a una dimensione più confacente ai loro meriti reali. In ogni caso, per tutti – o quasi tutti – i protagonisti dell’epoca d’oro del cinema italiano si è assistito a un costante e apprezzabile lavoro di revisione e approfondimento critico. Non per Elio Petri, nei confronti del quale il plebiscito ottenuto presso il pubblico da molti dei suoi film più famosi fu inversamente proporzionale agli apprezzamenti di una critica che, con poche eccezioni, ne fece il bersaglio preferito di una battaglia ideologica dalle premesse alquanto discutibili, il prototipo di quanto andava evitato al cinema in quel momento». Proprio intorno al 2007 però le cose cominciavano a cambiare. Non solo riguardo a Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto ma anche allo stesso Petri. Nel 2006 vede la luce un cofanetto con DVD dedicato al cineasta, preceduto di un anno da una monografia su uno dei suoi film più eccentrici, che si contorna di un alone quasi cultuale: La decima vittima (1965). In contemporanea all’omaggio torinese compare una raccolta degli scritti di Petri, a cui bisogna aggiungere la riedizione per Sellerio di Roma ore 11, il libro inchiesta all’origine del film omonimo di Giuseppe De Santis.
A ben vedere, la battaglia ideologica dalle premesse discutibili di cui parla Barbera era un fronte poco compatto di idee e individui che per un motivo o per l’altro guardavano con sospetto al cinema del cineasta romano. Comunque, «c’è un momento, agli inizi degli anni ’70, in cui su Petri tirano tutti la loro palla, come ai baracconi del luna park». Andiamo con ordine.
Su un primo fronte troviamo coloro che muovono rilievi soprattutto politici. Si tratta delle critiche e degli argomenti che oggi più risentono del passaggio degli anni (semantica dell’eufemismo). Sono le accuse di spettacolarizzazione e di assenza di rigore teorico. Leggi: di analisi di classe. Anche fuori dalla polemica più militante, era possibile trovare un giudizio simile: «Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, “prodotto” perfetto in quanto fruibile a diversi livelli e su diversi piani di lettura […] noncuranti gli autori e i loro estimatori della profonda frattura che si opera fra la levigata e ammiccante rappresentazione di una “patologia da potere” […] e la realtà, ben più atroce […], che proprio in quegli anni […] giovani studenti e meno giovani militanti vivono sulle piazze». Per quanto riguarda gli strumenti di analisi, valga quel che dice Fofi su Indagine in Il cinema italiano: servi e padroni, un formidabile compendio del gusto della sinistra italiana «Mao-oriented» tra gli anni ’60 e ’70: «I dati spettacolari e quelli politici uniti attentamente […] a un’ottica personale che è quella di una cultura di influenza esistenzial-dubitativa. Scavo nei personaggi e nelle loro crisi; aureole sartriane, pirandelliane e kafkiane nonché freudiane; dati esistenziali ingigantiti rispetto alla società che li produce e alla sua strutturazione oppressiva».
Su un altro fronte (non opposto ma complementare) si trovano le contestazioni di tipo cinefilo. Qui l’accusa è un’altra: il cinema politico di Petri non si interroga sull’ideologia dell’apparato e delle pratiche significanti. In altri termini, non produce la riflessività presente nel cinema politico «autentico», cioè materialista (Godard e Straub). Secondo questa prospettiva anche i riferimenti a Brecht sono superficiali ed eretici. Come ha ricordato di recente Fredric Jameson, per Brecht il problema dello stile non è immediatamente quello modernista (alla Barthes) di segnare uno stacco dal linguaggio comune mostrando la natura costruita del medium e del messaggio. È piuttosto un problema di intransitività: lo stile risulta in qualche modo cancellato, sottratto. Il che rimanda a un vuoto di espressività. L’opposto di quanto avviene in Petri. Ed ecco crearsi un gioco di opposizioni: ascetismo versus ridondanza simbolica, grigiore ricercato di superfici e ambientazioni versus deformazione espressionista anche attraverso il colore. E così via.

Per il 90° anniversario della nascita del regista francese Chris Marker o Del film-saggio
di Ivelise Perniola (Edizioni Lindau Saggi)
IL LIBRO
Chris Marker, pseudonimo di Christian-François Bouche-Villeneuve (Neuilly-sur-Seine, 29 luglio 1921), è l’esponente di punta di un cinema estraneo a ogni moda e a ogni compromesso commerciale. Dall’esordio sul finire degli anni ’50 sino ai giorni nostri, ha sviluppato un linguaggio cinematografico in continuo rinnovamento, dal cine-romanzo a immagini fisse di La jetée, al pamphlet di contro-informazione politica (Loin du Vietnam e Le fond de l’air est rouge), alla tecnologia digitale con il cd-rom Immemory. Nel tempo ha poi affinato l’arte del film-saggio: affascinante incrocio di riflessione filosofica, immagine documentaria, found footage, tecnologia digitale e materiale d’archivio. Il suo immaginario è formato da una memoria iperattiva alla continua ricerca di referenti simbolici e di assonanze spirituali, come quelle stabilite nel corso degli anni con Andrej Tarkovskij e Akira Kurosawa. Grande viaggiatore, o, per usare un termine a lui caro, instancabile globe-trotter, con i suoi film dedicati all’Africa, al Giappone, alla Siberia, ha offerto uno straordinario contributo di conoscenza. Si può insomma ragionevolmente affermare che Chris Marker è un autore la cui scoperta è in grado di modificare la chiave di lettura del cinema prodotto negli ultimi cinquant’anni. In occasione dell'approssimarsi dell'anniversario della sua nascita, torna in libreria questa nuova edizione rivista e aggiornata.
L'AUTRICE
Ivelise Perniola insegna Storia e critica del cinema e Cinematografia documentaria presso l’Università Roma Tre. Ha curato il volume Cinema e letteratura: percorsi di confine (Marsilio, 2002). Ha pubblicato Oltre il neorealismo. Documentari d’autore e realtà italiana del dopoguerra (Bulzoni, 2004), L’immagine spezzata. Il cinema di Claude Lanzmann (Kaplan, 2007) e vari saggi dedicati al cinema di nonfiction.
DAL LIBRO
Il 29 luglio del 2011 Chris Marker compirà novant’anni; l’ultimo film pensato per una proiezione in sala è Level Five del 1996. Gli ultimi quindici anni del suo personalissimo percorso autoriale sono segnati dal profetico incontro con la rete e con le sue numerose diramazioni, al punto che sembra quasi che Marker per decenni non abbia atteso altro che questo incontro con un mezzo che sposasse così incondizionatamente la sua poetica. Marker un internauta prima dell’avvento di Internet, come Aby Warburg, del resto. La rete favorisce la visione soggettiva e riflessiva del materiale proposto, non ha limiti cronologici né spaziali, può giocare con i tempi morti e con gli spazi vuoti, può accogliere frammenti di provenienza eterogenea, è svincolata da diritti d’autore, è nascosta e visibile allo stesso tempo, i contatti che riceve sono numerabili e identificabili, è democratica e antielitaria. La rete uccide il cinema, ma il cinema, secondo Marker, è già morto da tempo (e La Jetèe è la sua struggente opera testamento). Il piccolo schermo, che sia un monitor televisivo o la schermata di un computer, riproduce solo il simulacro di un film, come sostiene Marker in Immemory: «L’ombra di un film, il rimpianto di un film, la nostalgia, l’eco di un film, ma mai un film». Grazie a questa consapevolezza, maturata ben prima di tanti altri colleghi cineasti, Marker supera il cinema, approdando negli ultimi quindici anni a una forma espressiva trans-mediale, in grado di coniugare arte contemporanea e saggismo letterario e in grado di adattarsi a supporti di proiezioni e luoghi di esposizione eterogenei e molto lontani l’uno dall’altro (dall’I-Phone al museo). Se il cinema è morto, il libero pensiero è ancora vivo (anche se non si sente troppo bene, come ci dice il regista francese in una delle sue ultime opere, Chats perchés del 2004). La riflessione intellettuale, la trasformazione della prosaicità dell’esistenza in poesia, l’impegno politico e ideologico adattato alla crisi dei valori della contemporaneità rimangono le marche distintive della poetica markeriana, anche se applicate a strutture libere e poco codificate come i blog e gli avatar di Second Life, dimensione perfetta per la passione markeriana della falsificazione onomastica.
Data:  29/4/2011   |    © RIPRODUZIONE RISERVATA            STAMPA QUESTO ARTICOLO            INVIA QUESTO ARTICOLO


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